# 12 / 2021
16.11.2021

Finanze federali 2022: «ritorno alla stabilità»

Panoramica sulle finanze federali

La pandemia di coronavirus ha evidenziato la resilienza del budget federale. Questa capacità di assorbire gli choc è dovuta in grandissima parte alla lunga stabilità del budget prima della crisi, alla flessibilità del freno all’indebitamento durante la crisi e, infine, all’economia svizzera, che si è dimostrata a prova di crisi e pronta su tutta la linea. Non vi sono altre spiegazioni alla rapida stabilizzazione delle finanze federali osservata attualmente.

Dopo pesanti disavanzi nel 2020 e nel 2021, il preventivo 2022 è nuovamente equilibrato. Le prospettive fino al 2025 sono stabili. Per il 2022, il Consiglio federale prevede ancora uscite straordinarie per gestire le conseguenze della pandemia di Covid-19, ma il rischio che queste spese – che non sono prelevate dal budget ordinario – non possano essere finanziate e causino un nuovo indebitamento è nettamente più basso nel 2022 rispetto ai due anni precedenti. A partire dal 2023 non è più prevista nessuna uscita straordinaria dovuta al coronavirus. Il budget federale torna alla normalità di prima della crisi pandemica e alla situazione stabile istituita dalla Confederazione, talvolta a prezzo di grandi sforzi, negli anni che hanno fatto seguito all’introduzione del freno all’indebitamento. «Ritorno alla stabilità» è così il leitmotiv della politica finanziaria dopo gli scossoni che hanno interessato il budget federale.

Base di dati

Questo dossierpolitica si basa principalmente sul messaggio del 18 agosto 2021 concernente il preventivo 2022 con piano integrato dei compiti e delle finanze 2023–2025. Gli annunci tardivi del 24 settembre e del 27 ottobre concernenti il preventivo 2022 nonché la prima proiezione 2021 di giugno sono pure stati presi in considerazione. Per quanto possibile, si è inoltre tenuto conto della seconda proiezione 2021 di settembre (cf. figura indicatori chiave del budget e del piano finanziario). Il terzo annuncio tardivo adottato dal Consiglio federale il 3 novembre, dopo il termine redazionale, non ha potuto essere preso in considerazione nei grafici. Esso comporta 215 milioni di franchi di nuove spese.

Stato dei dati: 31 ottobre 2021

Budget ordinario

Nel budget ordinario 2022 della Confederazione sono previste entrate e uscite che superano i 77 miliardi di franchi. Con i tre annunci tardivi compresi, le uscite superano le entrate di 571 milioni di franchi. Per compensare il sottoutilizzo delle capacità dell’economia svizzera ancora dovuto alla pandemia, il freno all’indebitamento autorizzerebbe un’eccedenza delle uscite (disavanzo «congiunturale») di 600 milioni di franchi. In questo modo, il budget utilizza quasi integralmente il disavanzo autorizzato dal freno all’indebitamento nel 2022.

Dopo i miliardi spesi nella lotta contro la pandemia, è essenziale ritornare ad una politica budgetaria disciplinata – condizione per un budget federale stabile a lungo termine e che può essere finanziato senza aumenti d’imposta né programmi di austerità.

Le previsioni del Consiglio federale vertono su un equilibrio anche per gli anni dal 2023 al 2025 del piano finanziario. I disavanzi congiunturali restano possibili, ma dovrebbero diminuire entro il 2024 grazie al miglioramento della congiuntura. L’equilibrio del budget dovrebbe essere ristabilito a partire dal 2025. Secondo il gruppo di esperti della Confederazione, l’economia svizzera riprenderà in seguito la sua strada a lungo termine. Il budget federale può essere finanziato durante questo periodo e contiene del resto già qualche nuovo progetto (ad esempio soppressione dei dazi doganali industriali). Per il resto il margine di manovra è limitato. Chiaramente, i progetti non inclusi nel piano finanziario dovranno attendere che vengano liberati dei fondi.

Le misure legate alla pandemia hanno comportato uscite straordinarie massicce, lasciando tracce evidenti (in rosso) nel budget federale. Nei prossimi anni, la riduzione del debito dovuto al coronavirus dovrà essenzialmente riassorbire questi oneri speciali.

Perché la Svizzera resiste bene alla crisi

Nel confronto internazionale, la svolta economica provocata dalla pandemia di coronavirus è stata molto meno pronunciata in Svizzera e, dopo l’introduzione delle misure nella primavera 2021, il nostro paese ha registrato una forte ripresa. Ecco perché la Svizzera ha, complessivamente, attraversato bene la crisi:

1. Interventi dello Stato meno radicali che all’estero

Gli interventi dello Stato sono certamente stati massicci, ma meno incisivi che all’estero. Durante il primo lockdown, ad esempio, l’industria (a parte qualche eccezione) ha così potuto continuare la produzione. Molti cantieri hanno così proseguito i loro lavori nonostante la pandemia. Le chiusure di aziende in Svizzera si sono soprattutto limitate al settore della ristorazione, al commercio al dettaglio e agli eventi business, sportivi e culturali. Il lockdown non è mai stato totale, con coprifuoco. Contemporaneamente, le misure sanitarie comparativamente meno restrittive non si sono assommate ad un sovraccarico del sistema sanitario.

2. Aiuti statali rapidi e mirati

Lo Stato ha sostenuto l’economia, la cultura e lo sport con mezzi finanziari di un’ampiezza senza precedenti. L’azione rapida e mirata della Svizzera durante la prima ondata è stata decisiva, permettendo di ammortizzare il forte calo della congiuntura. Due strumenti sono stati qui particolarmente efficaci: il lavoro a tempo ridotto e la rapida introduzione del programma di crediti Covid-19.

3. Resilienza dell’economia svizzera

Dal 2008, l’economia svizzera ha superato tre importanti crisi: la crisi dei mercati finanziari, la crisi dell’euro e lo choc del franco forte. Le crisi hanno portato a scossoni sui mercati di esportazione e a un apprezzamento del franco svizzero in poco tempo. Di conseguenza, sono state abbandonate imprese o rami di attività. Quando la crisi sanitaria è subentrata nel 2020, non vi era dunque nessun cambiamento strutturale represso in Svizzera e, di conseguenza, non vi sono stati adattamenti bruschi e dolorosi che avrebbero potuto causare un tasso di disoccupazione notevolmente più elevato. Attingendo alle loro esperienze degli anni precedenti, le aziende ben posizionate sul mercato non hanno atteso per cercare soluzioni ed effettuare aggiustamenti.

4. Composizione settoriale che ammortizza parzialmente la crisi economica

L’economia svizzera è molto diversificata. Presente da una parte nella grande maggioranza dei mercati mondiali e competitiva a livello internazionale, essa è, dall’altra parte, composta da settori molto diversificati come l’industria orologiera, l’industria dei mercati finanziari (banche/assicurazioni), l’industria farmaceutica e delle tecnologie medicali o ancora l’industria delle macchine. In generale, le crisi colpiscono i settori e i mercati in maniera diversa. La diversificazione attenua dunque il crollo macroeconomico. Il settore sanitario in particolare, con l’industria farmaceutica e medtech, è poco sensibile alle crisi ed ha sostenuto la congiuntura durante la pandemia. Anche gli operatori di servizi finanziari ne sono usciti bene, nonostante le restrizioni imposte dalle autorità.

Entrate

Le entrate previste nel preventivo ordinario 2022 della Confederazione aumentano dell’1,8% rispetto al preventivo 2021. Il loro aumento è dunque inferiore alla crescita dell’economia nazionale (PIL nominale = +3,8%). Secondo le proiezioni di giugno, le entrate 2021 resteranno comunque nell’importo preventivato. Su questa base, la crescita prevista per il 2022 è comunque elevata, ossia del 3,2% (cf. grafico, barra rossa).

L’imposta sull’utile (IFD persone giuridiche) registra una progressione particolarmente forte. Il provento che genererà dovrebbe superare le cifre preventivate già da quest’anno e continuare questo slancio nel 2022 (+10,1% rispetto al preventivo 2021). Ciò riflette, ancora una volta, l’importanza crescente delle persone giuridiche in quanto contribuenti. Anni fa esse rappresentavano un buon terzo delle entrate dell’imposta federale diretta. In seguito, i rapporti si sono invertiti e le società vi contribuiscono ormai per oltre la metà del gettito. La crisi sanitaria non ha cambiato nulla a tale proposito – al contrario. Le aziende dei grandi settori farmaceutico e dei servizi finanziari, ad esempio, sono rimaste piuttosto solide e hanno così potuto mantenere i loro contributi elevati al finanziamento della Confederazione.

Le riforme realizzate dell’imposizione delle imprese stanno dando i loro frutti con un’evoluzione sensibile delle entrate dell’imposta sull’utile di questi ultimi anni, triplicando praticamente dall’inizio degli anni ‘90. Insieme, l’imposta sul reddito e l’imposta federale diretta finanziano circa il 30% del budget federale.

Una crescita comparativamente elevata è prevista anche per il 2022 per l’imposta sul reddito (IFD persone fisiche) (+5,6% rispetto al preventivo 2021). Grazie alle misure di sostegno statale (ad esempio indennità per perdita di guadagno), ma anche alle entrate supplementari generate dopo l’entrata in vigore nel 2020 del progetto Riforma fiscale e finanziamento dell’AVS (RFFA), il suo rendimento è rimasto stabile durante la crisi.

L’imposta federale più abbondante in termini di gettito è l’imposta sul valore aggiunto. Le sue entrate seguono in generale un’evoluzione analoga a quella dell’economia. Dopo che il Consiglio federale ha presentato il budget, le previsioni in materia di crescita economica sono leggermente migliorate. Ma le penurie di prodotti intermedi e di materie prime a livello mondiale rischiano di pesare sulla cifra d’affari. Questa tendenza potrebbe notevolmente peggiorare le prospettive economiche per l’anno prossimo e presentare qualche incertezza circa la futura evoluzione dell’IVA.

Le barre grigie esprimono l’evoluzione delle entrate nel 2022 rispetto al preventivo 2021, le barre arancioni quella rispetto alla stima di giugno 2021. Mentre l’imposta federale diretta supera tutte le aspettative e stabilizza il budget federale anche durante la pandemia, la crisi mette in evidenza la volatilità dell’imposta preventiva.

Le entrate dell’imposta preventiva (IP) sono meno prevedibili e regolarmente soggette a forti variazioni. Questo contributo, che è in fin dei conti una pura imposta di garanzia e ha un carattere fiscale subordinato, è diventata in questi ultimi anni una fonte di finanziamento sempre più importante per la Confederazione. Nell’anno di crisi 2020, i redditi corrispondenti sono fortemente diminuiti (dopo, va detto, un livello record). Anche nelle stime concernenti il 2021, l’evoluzione è inferiore alle aspettative. Inoltre ci si attende un nuovo calo nel 2022 (-10,5%). Una delle principali cause di questa tendenza è la politica dei dividendi molto prudente delle aziende, probabilmente dovuta alle incertezze e al loro fabbisogno di capitali nell’ambito del coronavirus. La pandemia ha esacerbato la volatilità già elevata dell’imposta preventiva.

La soppressione della tassa d’emissione decisa dal Parlamento porterà a una riduzione del gettito di questa tassa. Questa diminuzione si rivela attualmente più forte degli altri anni, a causa della natura della tassa di emissione. Regolarmente, il rendimento di questa tassa raggiunge il suo massimo quando l’economia è in crisi e le aziende hanno bisogno di nuovi capitali. Per il 2021, le stime prevedono entrate piuttosto elevate. A partire da ciò, le perdite fiscali saranno sempre più grandi in caso di sì in occasione della votazione sul referendum del 13 febbraio 2022 (cf. riquadro Soppressione della tassa di bollo).

Un altro fattore che rallenta l’evoluzione delle entrate è la decisione del Consiglio federale circa l’utilizzo del dividendo annuo che la Banca nazionale svizzera (BNS) versa alla Confederazione. Conformemente alla prevista ripartizione, la BNS distribuisce ogni anno una parte dei propri utili alla Confederazione e ai Cantoni, sotto forma di dividendo. In questi ultimi dieci anni, l’importo in questione si è avvicinato mediamente ai 700 milioni di franchi. L’utile della BNS è aumentato con la forte espansione del suo bilancio. Essa ha dunque stipulato una nuova convenzione con la Confederazione, portando la distribuzione massima a 6 miliardi di franchi, di cui 2,0 miliardi destinati alla Confederazione. Finora, il Dipartimento delle finanze trattava il dividendo come un’entrata ordinaria, inserita nel budget federale generale. Quest’estate, il Consiglio federale ha deciso che la quota di contributo della BNS che supera la media a lungo termine servirà, in quanto distribuzione supplementare a titolo straordinario della BNS, a ridurre il debito dovuto al coronavirus. L’importo in questione, fissato a 1,3 miliardi da parte del Consiglio federale, non sarà integrato nel budget ordinario, bensì in quello straordinario (dove sarà contabilizzato il debito attribuito al coronavirus). Nell’ultimo piano finanziario 2022-2024, il dividendo della BNS era ancora interamente iscritto come entrata ordinaria. Con la decisione del Consiglio federale, il budget ordinario subirà dunque delle perdite fiscali (entrate non fiscali -14,3%). Nel caso di entrate straordinarie, il rendimento aumenta di conseguenza. L’importo di base del dividendo della BNS, ossia 700 milioni di franchi, spetta sempre al budget ordinario.

Il rendimento della tassazione delle imprese registra una progressione molto più dinamica delle altre entrate fiscali e del PIL nominale. Il totale dell’imposta federale diretta, l’imposta sul valore aggiunto e l’imposta preventiva rappresentano oltre il 70% delle entrate federali. La quota della tassa di di bollo è del 2,6%.

Considerate su un periodo più lungo, le entrate progrediscono di oltre il 2% all’anno fino al 2025. Questa previsione di crescita include la riforma dell’AVS che, con il previsto aumento dell’IVA, dovrebbe generare introiti supplementari che superano 1 miliardo di franchi. Come la quota di IVA percepita per il finanziamento dell’AVS, anche le entrate supplementari passano dal budget federale e fanno così aumentare le entrate della Confederazione. In realtà, quest’ultima non ne può tuttavia disporre, poiché le entrate supplementari sono vincolate integralmente all’AVS. Le cifre tengono inoltre conto della riforma dell’imposta preventiva con, a breve termine, perdite fiscali per 200 milioni di franchi al massimo, e della soppressione dei dazi doganali industriali decisi dal Parlamento in autunno.

Il piano finanziario non comprende ancora la diminuzione delle entrate dovute all’aumento della deduzione per spese di assistenza dei figli decisa dal Parlamento (10 milioni di franchi a partire dal 2023), né i costi dell’aumento della deduzione dei premi dell’assicurazione malattia proposto dal Parlamento (230 milioni a partire dal 2025, consultazione conclusa, messaggio nel 2022). Non sono più compresi il cambiamento del sistema d’imposizione dell’alloggio (<400 milioni a partire dal 2025), sul quale il Parlamento deve ancora pronunciarsi, nonché le grandi riforme – attese nei prossimi anni – dell’imposta sul reddito e dell’imposta sull’utile. Per l’imposta sul reddito, si tratta dell’abolizione della “penalità del matrimonio” con, di conseguenza, perdite fiscali fino a 1,5 miliardi di franchi. Per l’imposta sull’utile, la Svizzera deve procedere ad alcuni adeguamenti a seguito in particolare dell’introduzione di un tasso d’imposizione mondiale minimo deciso dalle istanze internazionali. L’impatto per la Svizzera non è chiaro; occorre attendersi una diminuzione delle entrate.

Soppressione della tassa d’emissione sul capitale proprio: attesa da tanto tempo

Attualmente, la Confederazione percepisce ancora una tassa sull’emissione dei diritti di partecipazione svizzeri (Tassa di bollo). La commissione è dell’1,0% e concerne l’emissione nonché l’aumento dei diritti di partecipazione (ad esempio azioni, quote sociali, quote sociali di società cooperative). Ogni anno, circa 2000 imprese ne sono toccate, di cui tra l’80 e il 90% sono PMI.

Il capitale proprio permette alle aziende di assorbire gli choc derivanti dalle tensioni finanziarie ed economiche. Esso viene messo a disposizione dai proprietari a proprio rischio. L’imposizione di nuovi fondi propri così forniti è inopportuna e pregiudizievole – per le aziende, per l’economia nel suo insieme e dunque per noi tutti. Pertanto, la tassa di bollo d’emissione favorisce l’indebitamento delle imprese poiché i capitali di terzi (crediti, prestiti) non sono, contrariamente al capitale proprio, colpiti da nessun’altra imposta. Un indebitamento maggiore non è auspicabile, poiché ciò indebolirebbe le imprese e nuocerebbe all’economia nazionale. Il fatto che il suo calcolo si basi unicamente sull’importo dei fondi propri è un’altra lacuna della tassa di bollo d’emissione. Poco importa che l’azienda vada bene o male, che realizzi utili o subisca perdite. Il capitale proprio tocca la sostanza di ogni azienda. Un’imposta sulla sostanza, senza relazione alla situazione dei redditi, è dunque la forma d’imposizione più dannosa che possa esserci ed è effettivamente disapprovata dai moderni regimi fiscali. In realtà, ed è la lacuna principale della tassa d’emissione, la tassa colpisce meno le imprese prospere (che possono operare con gli utili non distribuiti) delle imprese emergenti (start-up) o in difficoltà economiche. Il provento della tassa d’emissione ha regolarmente un suo massimo in occasione delle crisi, poiché numerose di queste ultime registrano perdite e hanno in seguito bisogno di nuovi fondi propri. Il rendimento della tassa d’emissione è stato particolarmente elevato negli anni di crisi 2001 (375 milioni) e 2008 (365 milioni). Il 2021 potrebbe diventare un anno record. Il Consiglio federale ha inoltre sostenuto l’abolizione della tassa di emissione, perché in questo modo si può dare un contributo significativo al superamento delle conseguenze economiche della pandemia. Dopo oltre dieci anni di deliberazioni, il Parlamento ha approvato la soppressione nell’estate 2021. L’economia sostiene questa decisione. Per le ragioni esposte, si tratta di una preoccupazione importante di lunga data.

Le perdite fiscali rappresentano circa 250 milioni di franchi all’anno. Il PS ha lanciato un referendum contro questo progetto, che sarà sottoposto in votazione al popolo il 13 febbraio 2022.

Uscite

Nel 2022, le uscite ordinarie della Confederazione restano al livello dell’anno precedente e comprendono ancora una voce per le misure Covid (una parte più importante delle misure Covid è ancora finanziata attraverso il budget straordinario). Se si esamina il budget ordinario senza le spese Covid, si costata una crescita delle spese del 2,1%. Questo aumento delle spese è inferiore alla crescita economica nominale (+3,8%), ma leggermente superiore alla crescita delle entrate (ordinarie) (+1,8%). Ad eccezione dell’agricoltura, le spese sono in rialzo per tutti i gruppi di compiti. La crescita superiore alla media degli altri gruppi di compiti è dovuta all’aumento della tassa sul CO2 prevista l’anno prossimo nell’ambito della legge sul CO2 in vigore, che comporterà uscite supplementari nell’ambito del programma Edifici e una maggiore ridistribuzione all’economia e alla popolazione.

Fatta astrazione dei trasferimenti del settore delle finanze e della fiscalità, le spese registrano una crescita più importante nei settori della formazione e della ricerca, seguiti da quello dei trasporti. La variazione delle altre spese è dovuta ad un effetto speciale non ricorrente (tassa CO2).

La crescita delle spese prevista nel 2022 proseguirà anche gli anni successivi. Se si escludono le misure Covid, essa si stabilisce mediamente al 2,1%. I maggiori tassi di crescita sono registrati nei settori della previdenza sociale (in parte a seguito del finanziamento aggiuntivo dell’AVS senza incidenza sul budget), delle finanze e della fiscalità, della formazione e della ricerca, nonché delle relazioni con l’estero.

Nel piano finanziario, soprattutto le spese fortemente vincolate al settore delle prestazioni sociali hanno registrato un aumento superiore alla media. La crescita dei settori della formazione e della ricerca, nonché delle finanze e della fiscalità è leggermente superiore a quella delle spese totali ordinarie.

La forte crescita della previdenza sociale riflette un’evoluzione che non è nuova, ma che tende a diventare una sfida sempre più grande per l’insieme del budget federale, ossia la forte proporzione delle spese vincolate e la loro crescita spesso superiore alla media. La quota delle spese vincolate sulle spese totali è aumentata di un po’ più del 10% nel corso degli ultimi dieci anni per stabilirsi a circa il 65%. I contributi federali all’AVS, alle prestazioni complementari e alle riduzioni individuali dei premi rappresentano già un quinto delle uscite federali totali. Le spese sono tutte fortemente vincolate, vale a dire che non possono essere adattate nel preventivo da un anno all’altro, anche se questo sarebbe auspicabile dal punto di vista del preventivo globale. Nei prossimi anni, le spese tenderanno a crescere maggiormente del PIL e le entrate federali espresse in percentuale del PIL. Per le spese meno ancorate nella legge (agricoltura, sicurezza, relazioni con l’estero, formazione e ricerca, cultura), questa tendenza significa che per queste voci di spesa saranno disponibili meno risorse, poiché le spese totali sono plafonate. economiesuisse ha a più riprese attirato l’attenzione su questa problematica e il Consiglio federale segue pure questa evoluzione da molto vicino su incarico del Parlamento (rapporto attuale sullo stato delle spese vincolate). La crescita superiore alla media delle spese vincolate ha una dimensione qualitativa (si costata un disequilibrio crescente a livello di compiti attribuiti alla Confederazione) e di conseguenza anche una dimensione quantitativa: per evitare che la crescita non equilibrata conduca all’esclusione progressiva di alcuni compiti del budget, sono necessarie entrate supplementari, ma sarà difficile trovarle senza aumentare le imposte. Il potenziale di aumento è però limitato a seguito del tasso d’imposizione già elevato in Svizzera e sussistono dei bisogni di finanziamento considerevoli del sistema di previdenza vecchiaia.

Budget straordinario

Oltre al budget ordinario, la Confederazione dispone di un budget straordinario, che serve a finanziare le sue spese speciali. Queste ultime sono definite nella legge. Si tratta in particolare delle misure intraprese allo scopo di superare una crisi imprevista, come la pandemia di coronavirus. Le entrate speciali sono pure contabilizzate nel budget straordinario; in generale, si tratta di entrate incassate in occasione di eventi unici o rari, quali la vendita all’asta di licenze di telefonia mobile. Prima della crisi del coronavirus, il conto d’ammortamento, che riflette lo stato del budget straordinario, denotava un saldo positivo di oltre 3 miliardi di franchi. Due anni dopo, il disavanzo raggiunge quasi 25 miliardi di franchi. Questo enorme debito accumulato in poco tempo è la conseguenza del corso drammatico dei recenti avvenimenti.

Per il primo anno della crisi del coronavirus (2020), le uscite straordinarie in relazione al Covid sono stimate a 15 miliardi di franchi. Per l’anno in corso, il costo delle misure Covid rappresenta all’incirca lo stesso importo. Benché la situazione epidemiologica sia più distesa e l’economia svizzera si sia ristabilita, il preventivo 2022 contiene ancora uscite straordinarie legate al Covid.

Se si tiene conto degli annunci tardivi, questi ultimi raggiungono circa 3 miliardi di franchi. La metà di questa somma sarà dedicata ai test Covid (1,6 miliardi e il resto alle indennità per perdita di guadagno in relazione al Covid (490 milioni), alle perdite derivanti dal programma di garanzie 2020 (387 milioni) e all’acquisto di vaccini (550 milioni). A partire dal 2023, non sono previste uscite straordinarie. Le eventuali spese legate al Covid dovranno allora essere esclusivamente coperte dal budget ordinario.

Parallelamente alla scadenza delle misure Covid, la Confederazione inizierà ad ammortizzare il nuovo debito legato alla pandemia. I debiti Covid corrispondono al saldo del conto d’ammortamento. Secondo le stime attuali, è atteso per la fine del 2022 un disavanzo di circa 25 miliardi. Siccome il freno all’indebitamento richiede che un disavanzo del conto d’ammortamento sia per principio colmato entro sei anni (con possibilità di prolungamento), il Consiglio federale ha inviato in consultazione delle proposte di ammortamento accompagnate da un prolungamento del termine (cf. paragrafo successivo).