# 9 / 2017
28.11.2017

Il cambiamento strutturale in Svizzera: fatti e percezione

Cambiamento tecnologico: una minaccia per l’umanità?

Dopo il Forum economico mondiale del 2016, la rivoluzione industriale 4.0 è diventato un tema onnipresente. Non passa giorno senza che sia apparso sui media un articolo sulla digitalizzazione, che si discuta del futuro del lavoro o che siano stati pubblicati studi sui cambiamenti nel mondo economico. In molti casi, l’attenzione è stata posta sulle ripercussioni negative della digitalizzazione. E soprattutto, si è trattato quasi sempre della questione se verrà o meno a mancare il lavoro per l’uomo. Secondo un’indagine effettuata in 28 paesi da Edelman, la più grande agenzia di comunicazione mondiale, il 54% dei lavoratori vede l’automazione come una minaccia diretta al loro impiego.

Il fatto che le nuove tecnologie possano capovolgere interi settori è un fatto incontestabile. Si vedano per esempio Uber, Airbnb e altri fornitori di servizi digitali, che stanno mettendo in grande difficoltà delle imprese molto solide. È prevedibile, quindi, che l’intelligenza artificiale, le stampanti 3D, la tecnologia dei sensori, la robotica e molte altre conquiste continueranno a portare anche in futuro importanti cambiamenti nell’economia.

Il pensiero, quindi, di una perdita di lavoro imminente accende comprensibilmente paure esistenziali. Queste paure sono state recentemente alimentate da uno studio dell’università di Oxford, secondo il quale il 47% degli impieghi negli Stati Uniti saranno probabilmente vittime dell’automazione e della computerizzazione.

Tuttavia, uno sguardo ai libri di storia mostra come queste paure non siano affatto nuove. Già all’inizio del XIX secolo dei lavoratori inglesi che temevano la perdita del loro lavoro, lottarono distruggendo delle macchine. Anche nell’Oberland zurighese nel 1831 venne incendiato uno stabilimento tessile meccanico da alcuni cittadini arrabbiati. Inoltre, durante la Grande Depressione degli anni Trenta, l’economista Keynes parlava già di “disoccupazione tecnologica”.

Il problema fondamentale risiede nel fatto che i potenziali effetti negativi delle rivoluzioni tecnologiche, che assumono la forma di soppressione di impieghi, sono molto più concreti e semplici da immaginare della creazione di nuovi posti di lavoro. In altre parole, il numero di posti di lavoro che saranno soppressi in futuro è chiaramente sovrastimato, mentre il numero di nuovi posti di lavoro creati è evidentemente sottovalutato. Vorremmo rivedere questa ipotesi di seguito, analizzando innanzitutto le dinamiche dell’evoluzione dell’impiego in Svizzera negli ultimi 100 anni. Getteremo in seguito un’occhiata sull’anno 2015 - all’inizio del quale la Banca nazionale svizzera (SNB) ha abolito il tasso di cambio minimo con l’euro – allo scopo di sapere qual è stata l’evoluzione del mercato del lavoro dopo l’aumento brutale del franco. Infine, esamineremo il modo in cui i media riferiscono sul cambiamento strutturale.

Il mondo del lavoro evolve, ma l’occupazione non diminuisce

Uno sguardo alle statistiche dimostra che il numero delle persone che esercita una professione in Svizzera è cresciuto costantemente, passando da 1,3 milioni nel 1888 a quasi 5 milioni nel 2016. Come mostra il grafico 1, l’effettivo dei lavoratori è aumentato costantemente, anche se nello stesso periodo sono stati compiuti numerosi progressi tecnologici.

Grafico 1

Nessun progresso tecnologico negli ultimi decenni ha comportato una dimuzione del numero delle persone attive. È tutto il contrario.

Una perdita del lavoro a seguito della tecnologia potrebbe eventualmente verificarsi in caso di aumento del numero delle persone attive e della progressione contemporanea del tasso di disoccupazione e/o della diminuzione del tasso d’attività. Questo significherebbe che la popolazione aumenta più fortemente del numero delle persone attive.

Tuttavia, non ci sono spostamenti né nel tasso di disoccupazione né nel tasso di occupazione. Benché il numero dei senza lavoro sia rimasto più o meno stabile negli ultimi 20 anni - con periodi di disoccupazione relativamente bassa o alta - il tasso di occupazione è passato dall’80% all’83% dopo il 1996. Non si registra dunque nessun segnale negativo e nemmeno di disoccupazione massiccia.

Non solo il volume di lavoro è aumentato nel corso degli anni, anche la massa salariale è cresciuta mentre la durata del lavoro è diminuita. Come mostra il grafico 2, gli Svizzeri lavoravano in media un po’ più di 60 ore settimanali nel 1890, contro un po’ meno di 42 ore oggi. Durante lo stesso periodo, la retribuzione reale è fortemente aumentata. Meno lavoro, ma aumento dei salari? Una simile evoluzione sarebbe inconcepibile senza il progresso tecnologico.

Grafico 2

In Svizzera, gli ultimi cento anni sono stati caratterizzati da una riduzione degli orari di lavoro e da un aumento dei salari.

Una perdita del lavoro a seguito della tecnologia potrebbe eventualmente verificarsi in caso di aumento del numero delle persone attive e della progressione contemporanea del tasso di disoccupazione e/o della diminuzione del tasso d’attività. Questo significherebbe che la popolazione aumenta più fortemente del numero delle persone attive.

Tuttavia, non ci sono spostamenti né nel tasso di disoccupazione né nel tasso di occupazione. Benché il numero dei senza lavoro sia rimasto più o meno stabile negli ultimi 20 anni - con periodi di disoccupazione relativamente bassa o alta - il tasso di occupazione è passato dall’80% all’83% dopo il 1996. Non si registra dunque nessun segnale negativo e nemmeno di disoccupazione massiccia.

Non solo il volume di lavoro è aumentato nel corso degli anni, anche la massa salariale è cresciuta mentre la durata del lavoro è diminuita. Come mostra il grafico 2, gli Svizzeri lavoravano in media un po’ più di 60 ore settimanali nel 1890, contro un po’ meno di 42 ore oggi. Durante lo stesso periodo, la retribuzione reale è fortemente aumentata. Meno lavoro, ma aumento dei salari? Una simile evoluzione sarebbe inconcepibile senza il progresso tecnologico.