Gli imprenditori della Svizzera romanda insorgono contro l’iniziativa per l’autodeterminazione
Oggi è stata lanciata in Romandia la campagna contro l’iniziativa per l’autodeterminazione. Alcuni imprenditori romandi hanno denunciato stamattina in conferenza stampa l’incertezza permanente che peserebbe su circa 600 accordi economici conclusi dalla Svizzera con il mondo intero. Essi sono preoccupati per il probabile deterioramento delle relazioni con diversi Stati e per le misure di ritorsione che risulterebbero dall’inevitabile violazione dei trattati.
Gli imprenditori hanno anche insistito sulla necessità di preservare la credibilità della Svizzera sulla scena internazionale. Essa contribuisce allo sviluppo degli affari ed è una condizione necessaria per allargare la rete di accordi coinvolgendo paesi con un alto potenziale. economiesuisse conduce la campagna per conto del comitato degli ambienti economici e dei partiti di centro e centro-destra. A livello nazionale sono attivi altri due comitati: “Fattore di protezione D” e “Operation Libero”.
Grande mobilitazione degli ambienti economici
La campagna contro l’iniziativa per l’autodeterminazione in Svizzera romanda è stata lanciata questa mattina. “È un attacco in regola contro tutte le nostre imprese, non soltanto contro gli esportatori. Gli imprenditori l’hanno capito e si impegnano in prima linea. Il loro numero aumenta di settimana in settimana” si rallegra Cristina Gaggini, direttrice romanda di economiesuisse. “Ci rimangono solo nove settimane per convincere i nostri concittadini. Con i nostri membri e i nostri alleati politici, non smetteremo di batterci fino all’ultimo giorno. La posta in gioco è troppo alta” replica Cristina Gaggini.
Un falso dibattito e importanti problemi
L’iniziativa fa credere che il Consiglio federale e il Parlamento abbiano concluso in passato degli accordi internazionali contrari alla Costituzione federale. Questo è falso, dato che la Costituzione non lo autorizza. Possono apparire delle contraddizioni, è vero, nel caso vengano accettate delle iniziative popolari contrarie agli impegni presi precedentemente dalla Svizzera. Nella pratica però, secondo il Consiglio federale, questi casi sono rari. Due esempi sono l’iniziativa «delle Alpi» (1994) e l’iniziativa «contro l’immigrazione di massa» (2014). Finora, in questi casi rari le autorità hanno proceduto con pragmatismo, nell’interesse del paese. L’iniziativa introduce invece un meccanismo rigido: essa impone alle autorità di rinegoziare il trattato – con tutte le incertezze che comporta – e, «se necessario», di denunciarlo. Ancora peggio, il Tribunale federale e le altre autorità sarebbero costretti a violare i trattati che non sono stati sottoposti a referendum per tutto il tempo che non verrebbero adattati o denunciati. La Svizzera si esporrebbe conseguentemente a misure di ritorsione da parte degli altri Stati.
La Svizzera agisce già in completa sovranità e in modo democratico
Per quanto riguarda l’argomento sovranista portato dagli iniziativisti, Patrick Odier, membro del comitato direttivo di economiesuisse, non usa mezzi termini: «Questa iniziativa forza una porta aperta. Nessuno ci impone niente. Decidiamo in completa autonomia se concludere degli accordi con altri paesi. Il popolo può far sentire la propria voce sugli accordi più importanti e questo meccanismo funziona molto bene. Qualsiasi accordo che implichi l’adesione ad un’organizzazione è sottoposto a referendum obbligatorio e qualsiasi trattato di grande importanza, come i Bilaterali, al referendum facoltativo. Nessuno ci impedisce di disdire un accordo, ma bisogna farlo secondo le condizioni stipulate con l’altra parte». Respingendo chiaramente nel 2012, con il 75,3% dei voti, l’iniziativa «Accordi internazionali: decida il popolo!», i nostri concittadini hanno così deciso di non volersi pronunciare su ogni accordi, anche quelli tecnici e di minore importanza.
Incertezza permanente su circa 600 accordi economici
Una spada di Damocle cadrebbe su circa 600 accordi di natura economica stipulati dalla Svizzera con paesi del mondo intero. Si tratta, per esempio, di 30 accordi di libero scambio, di 120 accordi di protezione degli investimenti, degli accordi OMC e di oltre 120 accordi settoriali con l’UE. «La nostra economia guadagna circa 2 franchi su 5 all’estero. 9 imprese esportatrici su 10 sono delle PMI come la mia. Spero solo che la nostra politica estera continui a basarsi sui rapporti di fiducia per mezzo di accordi e non sui rapporti di forza!» sottolinea Aude Pugin, CEO di APCO Technologies e presidente della Camera di commercio e dell’industria vodese. Particolarmente attiva nell’industria spaziale e dell’energia, l’impresa familiare esporta la totalità dei suoi prodotti.
Nicolas Durand, CEO della start-up Abionic specializzata nella diagnostica medica, si preoccupa dal canto suo del rischio di perdere l’accordo sugli ostacoli tecnici al commercio con l’UE e, più generalmente, delle conseguenze dell’incertezza permanente che provocherebbe l’iniziativa. «I nostri prodotti permettono di salvare delle vite. Stiamo per cominciare ad esportare nel mondo intero, ma per il momento abbiamo ancora bisogno degli investitori istituzionali e privati. In un clima di incertezza giuridica, temo che questi investimenti verrebbero a mancare.»
A rischio la reputazione della Svizzera quale partner affidabile
Il rischio che la Svizzera possa, in qualsiasi momento, ritornare sui suoi passi per quanto riguarda gli impegni presi nell’ambito degli accordi, in vigore anche da decenni, è sufficiente a distruggere la credibilità del nostro paese sulla scena internazionale. Ciò peserebbe sulle relazioni interstatali ma anche sul buon funzionamento degli affari. «La mia PMI beneficia della credibilità della Svizzera a livello internazionale. Questo è un vantaggio presso i miei clienti e partner all’estero. Di fronte alla grande concorrenza, il valore della parola data fa la differenza. Per niente al mondo vorrei che questa situazione cambiasse. L’iniziativa spinge però in questa direzione» insorge Isabelle Harsch, direttrice di una PMI familiare attiva soprattutto nel trasporto di opere d’arte. Nonostante questa reputazione di partner affidabile, sarà però difficile ampliare la rete di accordi, tuttavia fondamentale per una nazione esportatrice per eccellenza”.
Affidati dalla legge del più forte
Attaccare il diritto internazionale significa anche rinunciare alla possibilità di difendere efficacemente i propri diritti presso le istanze giudiziarie internazionali, sia come paese richiedente che come difensore. Le nostre imprese sarebbero private di una protezione efficace, sia in Svizzera che all’estero. «I sostenitori dell’iniziativa pretendono di rafforzare la sovranità e l’indipendenza del nostro paese. Ciò che succederebbe sarebbe invece il contrario: verremo affidati alla legge del più forte! Sarebbe un atto irresponsabile» afferma Cristina Gaggini.